Nei giorni scorsi una sentenza del Consiglio di Stato [1] ha chiarito che il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani omosessuali è per il nostro ordinamento un atto inesistente, per difetto della condizione della differenza di sesso tra gli sposi, che è elemento essenziale per la stessa giuridica esistenza dell’istituto del matrimonio nel nostro ordinamento.
Il matrimonio fra persone dello stesso sesso contratto all’estero, dunque, non è trascrivibile ed è legittimo il provvedimento del prefetto che annulla le trascrizioni effettuate in alcuni Comuni.
Il diritto alla trascrizione di detti matrimoni non è poi rinvenibile nei principi costituzionali o enunciati in convenzioni internazionali.
Ed infatti, la Corte Costituzionale si è già espressa sul punto affermando la coerenza dell’omessa omologazione del matrimonio omosessuale a quello eterosessuale con i principi della Costituzione.
Inoltre – afferma la pronuncia del Consiglio di Stato - la regolazione legislativa del matrimonio, e, di conseguenza, anche i presupposti del riconoscimento giuridico dei matrimoni celebrati in un Paese straniero (ivi compresi quelli appartenenti all’Unione Europea) esula dai confini del diritto europeo (non essendo dato di rinvenire alcuna previsione europea che vincoli gli Stati membri ad un’opzione regolatoria, che, anzi, resta espressamente riservata alla discrezionalità dei singoli Stati proprio dall’art.9 della Carta di Nizza) ed attiene, in via esclusiva, alla sovranità nazionale.
La sentenza del Consiglio di Stato è corretta dal punto di vista tecnico-giuridico ed enuncia inoltre un argomento ineccepibile: la questione relativa al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali è una questione escusivamente politica e – senza forzature interpretative - deve restare una scelta, libera e politica, del Parlamento nazionale che resta l’unica autorità titolare della relativa decisione, come chiarito anche dalla Corte di Strasburgo.
Il merito di questa sentenza è dunque quello di aver chiarito che se nel nostro paese non vi è alcun tipo di riconoscimento delle relazioni fra persone dello stesso stesso è perché è mancata e manca una volontà politica in tal senso.
Ci riporta questa pronuncia alla considerazione di un dato di realtà: il diritto al riconoscimento della propria vita familiare nel nostro paese non esiste per le persone omosessuali, le quali - dunque–restano cittadini di “serie B”.
Il progetto di legge sulle unioni civili giace in Parlamento e – fra un'intervista in tv ed una dichiarazione fatta tramite social media da parte dei nostri governanti - non una sola norma è stata emanata per colmare quel vuoto legislativo che porta a gravi violazioni di diritti umani (perché il riconoscimento della vita familiare è un diritto umano fondamentale) e discriminazioni che sarebbero ritenute intollerabili se il nostro paese fosse davvero – come enunciato nella sua Costituzione – laico e pluralista.
[1] Sentenza 26 ottobre 2015
di Vanda Lops